Vangelo: Gv 20,1-9. Quel silenzio davanti alla Pasqua. Il messaggero celeste rivela alle donne che Gesù, il Crocifisso, è risorto. Una notizia sconcertante, si direbbe la lieta notizia lungamente attesa, ma la reazione delle donne è sorprendente. Avrebbero dovuto gioire, invece ammutoliscono.
Marco probabilmente vuole dirci che l’uomo non soltanto ha paura della Croce, ma anche di fronte all’evento, che la capovolge e la trasforma in vita e gloria, resta stupito, immobile, come se non riuscisse a crederci.
«Voi cercate Gesù il Nazareno, il Crocifisso, è risorto» (16,6): un annuncio, questo, che attira volutamente l’attenzione sul Crocifisso. La risurrezione è la manifestazione del senso vero, profondo e misterioso del cammino terreno di Gesù, che trova il suo culmine nella crocifissione. Fra i due momenti – il Gesù di Nazareth e il Gesù risorto – vi è un rapporto di profonda continuità, come tra ciò che è nascosto e ciò che è svelato. La risurrezione è la verità della Croce. Non è cambiato il volto della dedizione, dell’amore e del servizio che Gesù ha mostrato nel suo cammino terreno, ma è divenuto luminoso e vittorioso. Senza la memoria della Croce la risurrezione perderebbe il suo significato. La risurrezione di Gesù non è semplicemente la notizia di una generica vittoria della vita sulla morte. È una notizia molto più precisa: è l’amore che vince la morte. Una vita egoisticamente trattenuta non vince la morte, ma va incontro a una seconda morte. La risurrezione di Gesù celebra un preciso modo di vivere. Si tratta di una notizia lieta e impegnativa. Di più: la Croce dice il volto nuovo del Dio rivelato da Gesù: un volto rifiutato perché troppo distante da come gli uomini lo pensano. Qui si apre lo spazio per quella profonda conversione teologica a cui ogni cristiano è invitato. Dio ha veramente il volto che Gesù ha rivelato: in questo volto il Padre si è riconosciuto. È dunque la nostra immagine di Dio che va cambiata.
«Egli vi precede in Galilea, là lo vedrete, come vi ha detto» (16,7). Gesù, appena risorto, pensa ai discepoli. Lo hanno abbandonato, ma per lui sono sempre i «suoi discepoli». La risurrezione è anche il trionfo di una duplice fedeltà: quella del Padre che non abbandona Gesù nella morte, e quella di Gesù che non abbandona i discepoli nella dispersione.
don Bruno Maggioni
da: www.qumran2.net